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Da Alberti a Serlio si tenta una storia delle Antichità improntata all'illusione di crederle "operanti" sulla cultura del momento; vale a dire che le antiche fabbriche vengono interpretate in vista di un'educazione architettonica dove la scelta dei modelli di riferimento poggia sull'interesse storico che il presente ha per i possibili effetti del codice classico. Si approda ad una conoscenza storica che nega la continuità, seleziona l'esperienza del passato in maniera strumentale, rinnega pregiudizialmente la cultura gotica per inseguire un fare architettonico che si riflette nelle proposte di restauro. Il recupero dell'antico vi appare indirizzato ad una trasformazione urbana fondata su presupposti di potere politico e territoriale; per tale via i teorici del tempo ritennero possibile affermare del punti di vista ideali, spesso focalizzati intorno ad esasperati estetismi, sulla città e sulla società, sforzandosi di credere che l'egemonia del principe e della casta dominante fosse perfetta per virtù naturali, o perfettibile per scelta politica. In un caso o nell'altro, in qualità di rappresentanti, ne interpretarono, con i testi e con le opere, aspirazioni, interessi, obiettivi; di qui l'alienazione di una cultura aristocraticamente cieca riguardo alle contraddizioni sociali che essi tentarono di seppellire sotto una coltre marmorea, considerando gli uomini come oggetti da disporre secondo regole prospettiche e di simmetria.